70 anni in 7 Festival di Sanremo

di Gianni Sibilla

#TV70

Redazione CUCWritten by:

Sanremo è il media event italiano, il grande spettacolo del Paese che unisce costume, gossip, politica, spettacolo e canzoni, fa dialogare – non sempre serenamente –  industria televisiva e discografia, giornalismo e piattaforme digitali. Come la storia della televisione, ogni edizione di Sanremo è un susseguirsi di alti e bassi, colpi di scena, drammi e trionfi. Eccone sette, una per decennio.

1955: è arrivata la televisione

Il Festival della canzone italiana debutta nel 1951 alla radio, con lo scopo di promuovere il territorio ligure. Nel 1955, alla sua quinta edizione, si trasferisce sugli (ancora rari) schermi della neonata televisione. Le telecamere cambiano radicalmente struttura,  o tempi e linguaggio del programma: per cominciare, il conduttore Nunzio Filogamo viene sostituito perché ritenuto poco telegenico e ai/alle cantanti viene richiesto un «dress code» appropriato alla spettacolarità ed eccezionalità dell’evento. Già da quella prima edizione si sottolinea che è “Il festival delle canzoni, non dei cantanti” (“la musica al centro”, come si dice oggi), anche se a vincere è il divo Claudio Villa. La sera della finale – rigorosamente in diretta – Villa è malato: al suo posto, sul palco, viene ripreso un grammofono che suona la melodia di “Buongiorno tristezza”.

1967: Luigi Tenco, the show must go on

Nella notte tra il 26 e 27 gennaio, Luigi Tenco si toglie la vita in un hotel di Sanremo: la sua “Ciao amore ciao” è appena stata eliminata, dopo la prima serata. Il cantautore lascia un biglietto: il suo gesto estremo è «un atto di protesta contro la giuria». Ma la macchina impietosa dello spettacolo non si ferma; anzi, finge quasi che nulla sia successo: il conduttore Mike Bongiorno dedica all’accaduto solo un rapido cenno. La finale del 28 gennaio va regolarmente in onda in diretta TV e viene vinta da Claudio Villa e Iva Zanicchi.

1977: Un Ariston a colori

Nel 1977 nella televisione italiana arriva il colore: il Festival, sotto la guida di Vittorio Salvetti, si sposta dal Casinò di Sanremo al Teatro Ariston. Dovrebbe trattarsi di un trasferimento temporaneo, ma la sede non cambierà più: sul modello dei varietà televisivi, il cinema teatro Ariston – spazio piccolo ma evocativo, i cui stucchi e velluti rossi rimandano agli antenati illustri della televisione, nobilitandola – permette di allestire scenografie spettacolari, diventando il simbolo della liturgia televisiva del Festival. Solo in una edizione, quella del 1990, viene abbandonato, per il Palafiori di Arma di Taggia: anche per questo «sacrilegio», quell’edizione si rivelerà una delle più controverse della storia.

1984: Il playback e le “nuove proposte”

Gli anni Ottanta segnano il rilancio del Festival: nel 1984 Pippo Baudo viene chiamato alla conduzione ed imposta il suo modello di spettacolo televisivo, rassicurante, eccessivo, ecumenico. Deve però fare i conti con il mondo complesso della discografia, con cui la televisione entra spesso in conflitto: infatti, i discografici impongono a quella edizione il playback totale, con l’obiettivo di promuovere le canzoni nella versione che poi arriverà nei negozi. Si tornerà ad esecuzioni completamente dal vivo con l’orchestra solo sei anni dopo, nel 1990. Nonostante le tensioni con i discografici, Baudo intraprende un profondo percorso di modernizzazione della formula del Festival,  introducendo le “nuove proposte” e trasformando di fatto Sanremo in un talent show ante litteram. La nuova categoria viene vinta da Eros Ramazzotti con “Terra promessa”. Tra i Big, invece, i tradizionalissimi Al Bano e Romina.

1992: il «baudismo»

Il periodo 1992-1996 segna l’apice del «baudismo»: durante questo periodo il conduttore diventerà anche direttore artistico ed estenderà la durata del Festival a ben cinque serate. Nel 1992 punta sulle eliminazioni, sulla «vallette», crea il Dopofestival che alimenta polemiche e rende i giornalisti parte integrante dello spettacolo. Nelle canzoni si accenna all’AIDS, problema centrale in quegli anni, ma la contemporaneità rimane quasi assente: a vincere è Luca Barbarossa con “Portami a ballare”, dedicata alla madre. Nel 1995 Baudo scrive addirittura la siglaPerché Sanremo è Sanremo”, che diventa un tormentone e un simbolo della liturgia sanremese.

2005: Sanremo, Mediaset

I primi anni Zero segnano una crisi: Raffaella Carrà (2001) di nuovo Pippo Baudo (2002-2003) e Simona Ventura (2004) conducono edizioni dai risultati alterni. La Rai si affida a Paolo Bonolis, in quel periodo volto di punta di RaiUno ma coinvolto in un tormentato ping pong con Mediaset. Per il suo Festival, Bonolis propone una inedita formula a gironi: donne, uomini, gruppi, giovani e “classic” (sic.), vinta da Francesco Renga. Bonolis tornerà a Mediaset poco dopo il Festival del 2005. Condurrà ancora Sanremo nel 2009, in un anno di pausa dalla concorrenza, invitando a sorpresa in finale Maria De Filippi. A vincere in quegli anni sono proprio i protagonisti di Amici: Marco Carta in quel 2009, Valerio Scanu l’anno successivo, premiati dal televoto: il Festival si piega al dominio dei talent show, il nuovo modello di rappresentazione della musica in TV.

2021: Il Festival della pandemia

La  rinascita inizia con il ritorno di Fabio Fazio (2013-2014) e prosegue con Carlo Conti (2015-2017), Claudio Baglioni (2018-2019) e culmina nelle cinque edizioni di Amadeus, che lo trasforma in un contenitore da oltre cinque ore in cui le canzoni sono incorniciate in un varietà fitto di comici, co-presentatrici e co-presentatori, attori e ospiti internazionali, in una formula che integra il digitale, con meme che rimbalzano sui social media assieme alle polemiche. Dopo la vittoria di “Soldi” di Mahmood nel 2019, Amadeus punta su un cast musicale più vicino alla contemporaneità:  le canzoni «di Sanremo» tornano a dominare le classifiche, come non succedeva da anni. Diodato, Colapesce Dimartino, Mahmood e Blanco, Mengoni, Lazza, ma soprattutto i Måneskin, vincitori dell’edizione più surreale del Festival, in un 2021 devastato dalla pandemia in cui, in un Ariston deserto e gelido, il pubblico in sala è sostituito da sagome di cartone.

Ancora una volta, e forse mai come allora, il Festival ha saputo raccontare l’Italia.

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