70 anni in 7 anni fondamentali

di Massimo Scaglioni

#TV70

Redazione CUCWritten by:

1953, anno della televisione

Festeggiamo giustamente il settantesimo compleanno della televisione ricordando l’anno capitale, iniziato il 3 gennaio del 1954. Ma come spesso accade per le “date storiche”, queste hanno un portato simbolico: settant’anni fa la TV – la Rai – iniziava le sue trasmissioni regolari, come già accaduto, negli anni precedenti, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Francia… Ma, per la verità – e non sembri un paradosso – la TV in Italia già trasmetteva, e il “Radiocorriere”, l’house organ della Rai, riportava fedelmente la scansione dei programmi da parecchi mesi. È la “fase sperimentale”, l’archeologia della Tv italiana, “la televisione prima della televisione” (come l’ha definita Aldo Grasso). E difatti, proprio sul Radiocorriere, Salvino Sernesi, allora Direttore Generale della Rai, decretava: “1953, anno della televisione”. La pre-televisione italiana è una fase soprattutto tecnologica, dominata dagli ingegneri, focalizzata sull’interconnessione dei ripetitori e sulla preparazione del personale tecnico (impianti di trasmissione, apparecchiature di riprese, studi…). Ma il 1953 è davvero “l’anno della televisione” non solo perché poi tutto sarà pronto per il 3 gennaio dell’anno dopo, ma soprattutto perché questo sforzo tecnico-organizzativo è orientato a una finalità politica sostanziale: la Tv in Italia sarà pubblica (e non privata), inserita in un mercato di monopolio (come la radio) e, soprattutto, nazionale (e non locale o regionale).

1957, anno della “pubblicità”

Non chiamatela “pubblicità”, chiamatela “Carosello”. Nel 1957 si inaugura un programma che non solo diventa uno dei più popolari, anche fra i bambini (come ci ricordano i modi di dire), ma che decreta una soluzione creativa, tutta italiana, a un problema che, come ricorda Jérome Bourdon (“Il servizio pubblico”), caratterizza tutti i public service broadcaster del Vecchio Continente: il problema della pubblicità. Che si sintetizza così: evitare alla Tv condizionamenti di tipo economico, per percorrere la strada di un “servizio pubblico puro” (sul modello BBC), ovvero finanziato dal canone senza pubblicità; oppure garantirsi una parziale autonomia dai condizionamenti politici, attingendo da una fonte di finanziamento di mercato? Gli italiani sono così bravi nel trovare compromessi che s’inventano “Carosello”, un programma “pubblicitario”, con le merci che entrano nel sacro recinto del progetto culturale del servizio pubblico, secondo limiti stringenti dettati da Sipra, la concessionaria della Rai. Un compromesso di successo: durerà vent’anni.

1961, anno della programmazione

Non c’è vera “programmazione” senza un minimo di alternativa, o di competizione. Dal 3 gennaio del 1954 al 4 novembre del 1961 la Rai trasmette, semplicemente, la “Televisione”. Ma nel 1961 cambia qualcosa di essenziale, perché la Rai dà l’avvio al “Secondo programma”. Anche in questo caso provando a dare una soluzione a una questione che si poneva in tutta Europa: quella di affiancare una seconda scelta al primo canale, al “Programma nazionale”. Il 1961 è un anno rilevante: l’inizio della direzione generale di Ettore Bernabei, il Tg affidato a Enzo Biagi, la partenza di Studio Uno. Ma più di tutto è l’anno della programmazione: col Secondo programma si apre, per la prima volta in Italia, il confronto fra palinsesti. In un regime di monopolio pubblico, che compito affidare al secondo canale?

1974, anno della libertà

Altro anno fondamentale per la storia della Tv, un momento foriero di grandi conseguenze, mentre l’Italia vota il referendum sul divorzio. A vent’anni dall’avvio delle trasmissioni regolari, la Tv pubblica perde la piena legittimazione del suo monopolio. È la premessa per lo sviluppo delle televisioni locali, delle emittenti “libere”, e poi, nel corso degli anni Ottanta, dei network. Lo sviluppo del sistema televisivo dei successivi vent’anni non viene dettato, come accade in altri Paesi, da una precisa pianificazione. Un misto di assenza di regole e pressante iniziativa imprenditoriale prenderà al balzo l’opportunità offerta dalle sentenze 225 e 226 della Corte Costituzionale. Pur ribadendo la legittimità del monopolio, la Corte apre le porte alle trasmissioni di emittenti straniere  ma anche alla possibilità, per i privati, di trasmettere via cavo, in “ambito locale”. Nel 1974 viene fondata TeleMilano, che sarà Canale 5.

1977, anno del colore

Nel 1977 non soltanto si chiude l’esperienza di “Carosello” ma, dal primo di febbraio, la Tv pubblica inizia gradualmente le sue trasmissioni a colori. La tecnologia era pronta da tempo, ma una serie di polemiche, indecisioni, prese di posizione avevano bloccato il passaggio. L’adozione del colore è rilevante non solo per questioni pratiche (per molte famiglie gli ultimi anni Settanta e i primi anni Ottanta rappresentano l’occasione giusta per cambiare apparecchio televisivo, facendo entrare nelle case anche il telecomando), ma di ordine simbolico: inizia il “ventennio a colori” (come l’ha definito Peppino Ortoleva). È l’età della competizione, o meglio, rapidamente, del “duopolio”. Gli euforici anni Ottanta si accompagnano a sogni a colori.

1990, anno dello status quo

Come caratterizzare meglio il capitale 1990, altro anno foriero di importanti conseguenze? Il 1990 è l’anno in cui, dopo più di un decennio di assenza di regolamentazione, finalmente si approva una legge di sistema. Si chiama “Legge Mammì”, dal nome dell’allora Ministro delle Poste e Telecomunicazioni Oscar Mammì. In conseguenza di quella legge, il 1990 è l’anno che consente alle reti commerciali di trasmettere in diretta. L’anno successivo nascerà Studio Aperto, la prima testata di casa Fininvest. Ma la Mammì non dà seguito alle sollecitazioni venute dalla Corte Costituzionale anni prima con uno sguardo innovativo. Fotografa, semplicemente, lo status quo. Che aveva la forma del duopolio Rai-Fininvest/Mediaset.

2012, anno dell’abbondanza

Anno simbolico come altri, il 2012 fa entrare la Tv italiana nell’età dell’abbondanza, il contrario del suo cominciamento, settant’anni prima. Lo scenario degli editori italiani si era già fatto più complesso (con Sky Italia, il gruppo La7 in mano a Telecom, Discovery Italia) negli anni precedenti, ma lo switch-off del 2012 (col passaggio di tutte le trasmissioni televisive allo standard del “digitale terrestre”) consente di ampliare con decisione il numero dei canali nazionali. Nascono reti tematiche e, soprattutto, quei canali “semi-generalisti” che contribuiscono all’innovazione del sistema. Qualche anno dopo è la volta delle piattaforme a rendere sempre più “sovrabbondante” lo scenario audiovisivo nazionale.

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