Metamorfosi

Venezia Arti
n. 23/2023
Scadenza: 15 maggio 2023

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Caterina MartinoWritten by:

Il tema della metamorfosi è un tema fecondo nel mondo dell’arte e più in generale in quello della storia della cultura, affondando le proprie radici nella più remota antichità. La dinamica della trasformazione in altro – peculiarità della natura e del regno animale – è presente in molte mitologie e religioni del passato, ribadito e ripreso nelle rispettive tradizioni letterarie (fino a Kafka e oltre): per indicare solo un esempio, Ovidio è ancora oggi una delle personalità più profondamente radicate in questa cruciale prospettiva (come noto, non esclusivamente occidentale), proprio per i suoi celebri Metamorphosĕon libri XV, sintesi sfavillante di precedenti poetici, eruditi, figurativi e plastici, ma anche fonte imprescindibile per quasi ogni successiva rinascenza. Apollo e Dafne, Venere e Adone, Narciso, Prometeo, Leda e il Cigno, Danae, Callisto, Atteone, Perseo: l’elenco è fittissimo di celebrati capolavori e di riprese ininterrotte per secoli (anche in quello presente), così come di una storiografia critica (da Warburg a Saxl, da Panofsky a Wind, da Fumaroli a Lévi-Strauss, a Roberto Calasso) che pur avendo conosciuto stagioni di maggiore e minore densità, ha stabilito e segna comunque dall’avvio della disciplina una costante della ricerca storico-artistica. Accanto a essa, il tema è risultato cruciale (oltre che nelle scienze naturali, o nella trasformazione dell’astrologia in astronomia e dell’alchimia in chimica) anche nella speculazione filosofica, e basti in questo caso il rinvio al ruolo fondante di Nietzsche nel pensiero moderno, sino alle assai più recenti indagini, tra gli altri, di Emanuele Coccia.

L’annata 2023 di Venezia Arti propone pertanto agli studiosi di produrre degli aggiornati contributi, dagli scenari della tarda antichità al contemporaneo, che riguardino il tema della ‘metamorfosi’, declinato inevitabilmente su più possibili registri: per esempio in quello di mutuazione/trasformazione, che parte dal presupposto di un adeguamento tra la specie umana e le biologiche dinamiche vegetali e animali; ovvero in quello delle cosiddette morfologie mutanti, dove l’oggetto della rappresentazione si impernia sulle nozioni di ‘ibrido’, di ‘mostro’ e di ‘cyborg’: se nel Medioevo raccoglierli significava celebrare il mostruoso o, più avanti, il grottesco, oggi essi ci appaiono come tratti salienti tra la fine della modernità e gli inizi di ciò che ormai si definisce post-modernità o, meglio, l’era del post-human. Come per i greci il peccato più grave era costituito dalla hybris, una inaccettabile violazione dell’ordine del cosmo, e centauri, chimere, satiri – con la semplice e arrogante composizione dei loro corpi – osavano sottrarsi al dominio della ferrea necessità di un mondo ordinato in categorie, la presenza nell’arte odierna di forme biologiche, altrettanto singolari rispetto a quelle dei mostri del passato, è la manifestazione di una sorta di hybris della modernità, ma anche il sintomo di una società in crisi.

Quando si pensa alla ‘fortuna’ del tema delle metamorfosi in epoca moderna, non si può non tener conto dei numerosi volgarizzamenti o moralizzazioni dell’opera omonima di Ovidio, non solo dal punto di vista della fortuna editoriale di un testo divenuto all’epoca già classico, ma nel riverbero che ebbero gli apparati illustrativi delle numerose edizioni a stampa nei cicli pittorici o nelle opere mobili, dai dipinti agli arazzi, in tutta Europa. Imprescindibile allora è il repertorio iconografico curato da Claudia Cieri Via (L’arte delle Metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Roma, 2003), consistente in una mappatura sostanziosa delle occorrenze figurative degli episodi ovidiani dipinti, sebbene nei limiti geografici della penisola centro-settentrionale, a maggior ragione da colmare rivolgendo lo sguardo lungo rotte geografiche non considerate allora e realizzate su supporti di altro tipo. A cascata, si considerino pure gli studi di Giuseppe Capriotti dedicati al ‘tempo delle trasformazioni’ di Lodovico Dolce (qui basti fare un solo riferimento bibliografico in un contesto editoriale illustre: Il tempo delle trasformazioni. Le quattro stampe di Giovanni Antonio Rusconi aggiunte alla seconda edizione del 1553 delle «Trasformationi» di Lodovico Dolce, in Galassia Ariosto. Il modello editoriale dell’Orlando furioso dal libro illustrato al web, a cura di L. Bolzoni, Roma, 2017, 309-324), oppure gli studi di Federica Toniolo («Immagini in trasformazione. Le Metamorfosi illustrate dai manoscritti ai libri di stampa», in Ovidio. Amori, miti e altre storie, a cura di F. Ghedini, Napoli, 2018, 95-103). Cioè di contributi più o meno ampi, che confermano tutti come gli ambiti della cultura visiva e letteraria nel Cinquecento fossero osmotici, confermando una volta di più il paradigma oraziano dell’ut pictura poësis come indagato a partire dal celeberrimo saggio di Rensselaer Wright Lee (Ut Pictura Poesis. A Humanistic Theory of Painting, New York, 1967).

Un ulteriore possibile registro si appunta sulle persistenze visive della mitologia classica che sfociano nelle ‘manipolazioni’ dell’età moderna e contemporanea, in cui l’ibrido è considerato come incrocio tra umano e animale, spirituale e carnale, metafora della realtà e punto di vista sul mondo in un percorso tematico che confronta epoche, stili e contributi concettuali, una problematica affrontata, tra molti altri, da Böcklin, Moreau, Rodin, von Stuck, Redon, de Chirico, Magritte, Grosz, Klinger, Picasso, Chagall, Arturo e Alberto Martini, Savinio, Delvaux, Bacon, Kahlo, Picabia, Mendieta, Clemente, Chia, Paladino, Barney, Cattelan, Bourgeois, Sherman, Kiki Smith, fino ai lavori di Aspassio Haronitaki, Giuseppe Maraniello, e molti altri.

Il tema della metamorfosi si declina anche in relazione a quello, se possibile ancora più dilatato, dell’identità/alterità. Come ha notato Arthur Rimbaud, nella sua Lettera del veggente del 1871, «Io è un altro»: la nostra identità è aperta a infinite possibili trasformazioni, indotte dalla nostra sensibilità e dalle condizioni in cui viviamo. Si tratta di una questione cui gli artisti, dalle Avanguardie storiche ai nostri giorni, hanno continuato a fare riferimento, sperimentandolo attraverso opere in cui il loro stesso volto e il loro stesso corpo diventano oggetto di travestimenti, camuffamenti, sdoppiamenti di identità, sia in senso ironico che critico. Maestro di tutti è Marcel Duchamp, ma molti altri artisti hanno giocato a travestirsi, come ad esempio Luigi Ontani.

In tempi più recenti, il trasformismo si è accompagnato alla riflessione sulla ‘manipolazione’ del corpo, dalla chirurgia estetica alla medicina genetica. Sono spesso le artiste a lavorare su questi temi, come Orlan, Marina Abramović, Mariko Mori, che nelle sue performance degli anni Novanta ha interpretato i ruoli di geisha post-tecnologica, sirena di plastica, giovane eroina dei manga, per mostrare le diverse facce di un’iconografia femminile orientale che risponde ai desideri della società maschilista. Cindy Sherman ha fatto del trasformismo e del camuffamento la base della sua opera: nel corso del tempo si è truccata interpretando le centinaia di protagoniste dei più noti film moderni e contemporanei, riflettendo sui condizionamenti e i luoghi comuni sulle attrici donne nell’industria cinematografica; ha interpretato i soggetti femminili delle grandi opere d’arte, da Venere a Giuditta; ha messo in scena le manie e i parametri della bellezza femminile americani; ha creato terribili teatri di corpi mutilati, per stimolare il dibattito sul tema della violenza sulle donne.

Molti gli esempi: dai camuffamenti del giapponese Yasumasa Morimura e del cinese Liu Bolin: il primo è letteralmente ossessionato dal confronto con i più famosi artisti occidentali del passato, dei quali riproduce opere celebri, dall’autoritratto di Van Gogh all’Olympia di Manet, in set ricercatissimi e minuziosi dove si ritrae truccato come i protagonisti di questi dipinti. Il secondo si camuffa negli ambienti o davanti alle grandi opere d’arte, diventando letteralmente mimetico con essi, sottolineando il pericolo di perdita dell’identità delle cose nel mondo globalizzato. Fino all’esperienza del performer russo Vladislav Mamyshev Monroe.

La sensazione complessiva, nello scenario odierno, è quella di trovarsi nel pieno di un radicale mutamento, incalzato dalle continue alterazioni visive di installazioni, sculture, azioni performative, dipinti e video che invitano l’osservatore a una riflessione sul senso della percezione, per condurlo a penetrare il silente linguaggio della natura che, proprio nella metamorfosi, mostra il suo essere viva e trepidante. Si tratta, in sostanza, di un passaggio al transitorio e all’impermanenza, che nulla ha ormai più a che vedere con l’idea otto-novecentesca di ‘cambiamento’, come ha sottolineato di recente Carolyn Christov-Bakargiev sostenendo che il concetto odierno di ‘trasformazione’ si connette più propriamente all’idea della ‘metabolizzazione’.

Il numero del 2023 di Venezia Arti accoglierà, nella specifica sezione «Alia itinera», alcuni selezionati contributi che esulano dal tema monografico «Metamorfosi».

DEADLINE

  • Termine di consegna dell’abstract: 15 maggio 2023
  • Comunicazione di accettazione dell’abstract: 31 maggio 2023
  • Termine di consegna dell’articolo: 31 agosto 2023

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