Fotogrammi. Dai fotografi/registi ai registi/fotografi

Ciclo di seminari
a cura di Marcello Walter Bruno, Caterina Martino, Gabriele D’Autilia e Angelo Desole
con il patrocinio della Consulta Universitaria del Cinema
24 febbraio-30 giugno 2022

ARCHIVIO CONVEGNI

Redazione CUC2Written by:

Il centenario della nascita di Chris Marker sta passando inosservato per un problema di attribuzione: per gli studiosi di fotografia il regista di La jetée (e di tutti gli altri corti e lunghi che riempiono il cofanetto La Planète Chris Marker) è uomo di cinema, ma per gli studiosi di cinema l’autore di fotolibri come Clair de Chine e Passengers è piuttosto un fotografo.

Il doppio mestiere – che pure caratterizza molti grandi artisti della modernità (da Andy Warhol a Wim Wenders a David Lynch) e anche esponenti delle nuove generazioni (citiamo solo i fratelli D’Innocenzo, il cui fotolibro Farmacia notturna è uscito a ridosso di Favolacce) – appare non come ricchezza ma come handicap se vista con la lente dello specialismo accademico. È venuto il momento che il mondo della ricerca si apra ad un pieno riconoscimento non solo della profonda identità delle immagini tecniche (per come definite da Vilém Flusser) ma anche delle pratiche registiche che hanno accomunato fotografi e filmmaker dai tempi di Robert Frank, Weegee, William Klein.

È venuto il momento che gli studiosi di fotografia indaghino i registi la cui opera conserva un cuore fotografico (un nome su tutti: Kubrick) e che gli studiosi di cinema risalgano alle fonti fotografiche dei loro registi preferiti (da dove viene Zabriskie Point se non dagli scatti di Edward Weston? Da dove viene il camion di Duel se non dalla serie concettuale di John Baldessari? La filologia spinge la filmologia oltre la cinefilia…).

L’incrocio di competenze è necessario se si vuole scoprire la rete di influenze che caratterizza le immagini tecniche, eliminando l’equivoco di una fotografia ontologicamente documentaria e pre-cinematografica (laddove un genere come la staged photography, almeno nelle versioni ricche di Gregory Crewdson e David LaChapelle, presuppone un concetto di regia che contrasta la centralità di ciò che Franco Vaccari chiamava “inconscio tecnologico”) e conseguentemente eliminando l’equivoco di un’immagine-tempo ristretta al mondo della narrazione cinematografica (mentre il cristallo, il sogno, il ricordo, appartengono alla fotografia dal suo primo apparire e sono poi stati pienamente espressi in fotografi come Duane Michals, Jeff Wall, Joan Fontcuberta).

La parola “fotogramma” ben si presta a rappresentare questa zona di convergenza e divergenza, essendo un termine tecnico in uso sia nel cinema che in fotografia ma con accezioni differenti: per il Moholy-Nagy di Pittura Fotografia Film (1925) si tratta degli esperimenti off camera forse inventati da Man Ray; nel linguaggio cinematografico si tratta dell’unità minima dell’immagine-movimento, quel frame che ha fatto dire a Barthes che il “terzo senso del cinema” è la fotografia (cioè l’immagine contrapposta alla narrazione).

La proposta è dunque quella di un ciclo di seminari sondativi – che potrebbero perimetrare i temi di un successivo convegno – in cui indagare da un lato l’operatività di alcuni fotografi/registi o registi/fotografi (il ventaglio è molto ampio e variegato, comprendendo anche il Cartier-Bresson collaboratore di Jean Renoir) e dall’altro la teorizzazione di alcuni filosofi che sono entrati nello specifico delle immagini tecniche (Benjamin, Flusser, Barthes ma anche fotografi come Fontcuberta), mettendo in gioco la possibilità di invadere campi altrui, controcampi altrui, per riscoprire i molteplici legami che uniscono la fotografia e il cinema – le fotografie e i film – dall’epoca analogica all’epoca digitale.

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