Incontro

Fata Morgana. Quadrimestrale di cinema e visioni
n. 43/2021
Scadenza: 17 gennaio 2021

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Redazione CUC2Written by:

“Accogliere lo straniero significa anche provare la sua intrusione”, diceva Jean-Luc Nancy. È in questa apparente contraddizione che sta la ricchezza e l’ambivalenza nascosta del termine “incontro”. Quella di incontro è infatti una parola che allude ad un movimento complesso, l’andare verso ciò che “da fuori” arriva, in forma non prevedibile. Ma l’incontro dunque è sempre anche uno scontro, una opposizione, perché ciò che si incontra è sempre altro, sconosciuto, opposto. Ma nella particella “in” sta anche la volontà, il desiderio di accogliere appunto ciò che è altro, straniero a me stesso.

È in questa ambivalenza del termine, in questa ricchezza semantica insita nel doppio movimento dell’incontro che la parola mostra una profonda analogia cinematografica. Se infatti pensiamo la dinamica dell’incontro nella forma e nella pratica cinematografica, essa si rivela foriera di possibili nuove letture del cinema e delle pratiche dell’immagine in generale.

Al tempo stesso, l’incontro è uno dei principi da cui l’idea stessa del film, la sua possibilità diventa concreta, reale. Il cinema della modernità è per esempio un’arte degli incontri (a partire da Rossellini per poi arrivare alla Nouvelle Vague francese al Nuovo Cinema Tedesco). E l’incontro moderno sostituisce l’azione “classica”. Il precetto di Goethe “in principio era l’azione”, con la modernità viene completamente ribaltato e diviene “in principio era l’incontro”, tra “eterogenei” il cui destino è sempre imprevedibile (come nei diversi episodi di Paisà o nelle deambulazioni urbane di Fino all’ultimo respiro).

Oppure, si può pensare l’incontro come il dispositivo stesso del cinema, il suo montaggio nel senso più ampio del termine. In questa declinazione ulteriore del termine incontro, ritroviamo allora il senso profondo del suo valore cinematografico: quello di pensare l’incontro come possibilità per l’immagine, sia nel senso narrativo, sia in quello della sua forma.

Incontro è narrazione. «I due non si conoscono ancora. Bisogna quindi che si raccontino: “Ecco cosa sono”. È il piacere narrativo, quello che al tempo stesso appaga e ritarda la conoscenza, quello che, in una parola, rilancia». Queste parole di Roland Barthes si riverberano nelle forme narrative del cinema, che hanno declinato in modi sempre diversi, come un’infinita variazione di uno spartito antichissimo, l’incontro come scintilla, inizio della narrazione, del viaggio in comune (come nel Road Movie, o nelle tante modulazioni del viaggio); o inizio della relazione che sconvolge la situazione di partenza (come ogni incontro apparentemente casuale del cinema, dal movimento perverso di Hitchcock al cinema geometrico di Nolan); l’incontro orienta, il suo desiderio determina il film (incontrare il mago di Oz per Dorothy e i suoi amici nel capolavoro di Fleming, o incontrare il fratello lontano in Una storia vera di Lynch, assistere all’incontro ravvicinato con una civiltà altra nel film di Spielberg); infine, l’incontro può essere improvviso, random, fatto di accumuli, di momenti che sono indice di un cinema che ama la deriva, adora il perdersi: sono gli incontri degli erranti personaggi del cinema moderno – da Antonio e Bruno alla ricerca della bicicletta rubata lungo le strade di Roma in Ladri di biciclette, fino ai folli incontri folli in Fino alla fine del mondo di Wenders o in Sciarada di Donen, emblemi di un poliedrico cinema dell’erranza. Come in un movimento alternato e apparentemente non prevedibile, l’incontro (reale o sognato, improvviso o progettato, desiderato o temuto) diventa spesso il motore di una narrazione dalle molte declinazioni e dalle diverse possibilità.

Incontro è occasione. Come la parola incontro, anche il termine “occasione” è aperto a diverse interpretazioni. Come ricorda Didi-Huberman, l’occasione è anzitutto una figura del pantheon greco, figura della caduta improvvisa, della perdita dell’equilibrio, che determina però una nuova possibilità. Anche qui l’ambivalenza diventa il movimento specifico del termine: l’incontro è dunque un’occasione (di mutazione radicale, di esperienza, di sperimentazione di nuove possibilità). Ma l’occasione prevede sempre una caduta, il rischio di una perdita. Ecco che allora in questa declinazione la parola incontro diventa l’immagine di un cinema aperto al fallimento, all’imprevedibilità del reale; un cinema che lotta costantemente con un reale incontrollabile per creare, “malgrado tutto”, un’immagine, una forma. È il cinema di Cadenza d’inganno di Leonardo di Costanzo che cambia totalmente il suo percorso quando il personaggio principale scompare (e di fatto questa scomparsa diventa il vero tema del film); così come cambia storia Pietro Marcello in Bella e perduta quando muore il custode della Reggia di Carditello. È il cinema di Robert Kramer, che in Route One Usa percorre la più grande strada del continente per permettere al suo personaggio di incontrare.  È il cinema come grande racconto di se stesso; un racconto fatto di storie di incontri (e dei rischi ad essi connessi), di possibilità, mai prevedibili fino in fondo. È il grande “cinema del reale”, la grande tradizione del documentario, che ha bisogno dell’incontro per poter esistere. E sono le tante piccole/grandi storie dei film, della loro realizzazione, delle scelte (spesso “occasionali”) che ne hanno determinato la forma finale.

Deadline per la consegna dell’abstract: 17 gennaio 2021
Deadline per la consegna del saggio: 21 marzo 2021
I testi, che devono essere scritti e composti appositamente per la rivista, devono rientrare nelle dimensioni qui indicate
Focus: min. 35.000 max 40.000 battute (spazi e note inclusi)
Rifrazioni: min. 15.000 max 20.000 battute (spazi e note inclusi)

Da inviare a: redazionefatamorgana@gmail.com

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