L’uomo che amava i film. In memoria di David Bordwell

di Giaime Alonge

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David Bordwell (23 luglio 1947 – 29 febbraio 2024) è stato senza dubbio uno degli studiosi di Film & Media Studies più influenti degli ultimi trent’anni. Sono troppo vecchio per aver studiato su “il” Bordwell e Thompson (ai miei tempi, si portava “il” Rondolino), ma, come per tanti colleghi in giro per il mondo, quel titolo campeggia nel mio programma di Storia del cinema. Film History: An Introduction (1994), così come il precedente Film Art: An Introduction (1979), sempre a doppia firma Bordwell e Thompson, tradotti in molte lingue, sono tra i manuali di maggior successo del mercato universitario globale. Tanto quei due testi rappresentano, ogni anno, il punto di ingresso nello studio delle nostre discipline per schiere di studenti, quanto alcuni dei contributi di Bordwell, sia solitari – penso innanzi tutto a Narration in the Fiction Film (1985) e On the History of Film Style (1997) – sia a più mani (The Classical Hollywood Cinema: Film Style & Mode of Production to 1960, 1985, scritto con Kristin Thompson e Janet Staiger), sono volumi imprescindibili per qualunque studioso di cinema.

Nel corso della sua carriera, David Bordwell ha lavorato soprattutto sul cinema americano classico e post-classico, insistendo sulla sostanziale continuità, in termini linguistici, tra la Hollywood della golden age e le sue incarnazioni successive. The Way Hollywood Tells It: Story and Style in Modern Movies (2006) di fatto riparte dal penultimo capitolo di The Classical Hollywood Cinema, intitolato appunto “Since 1960: the persistence of a mode of film practice”, per dimostrare che, con le differenze del caso, l’idea di fondo di che cos’è un racconto cinematografico, a Hollywood, oggi è più o meno la stessa dell’epoca dello studio system. E tra le ultime fatiche di Bordwell troviamo un’opera, Reinventing Hollywood: How 1940s Filmmakers Changed Movie Storytelling (2017), che ritorna sul cinema americano classico come grande oggetto d’amore, oltre che di studio.

Ma le ricerche di David Bordwell si sono spinte anche molto lontano dall’universo hollywoodiano. Bordwell è stato tra i primi studiosi occidentali a interessarsi in modo organico alla produzione di Hong Kong (Planet Hong Kong: Popular Cinema and the Art of Entertainment, 2000) e ha dedicato una monografia, The Cinema of Eisenstein (1993), a uno dei registi chiave del pantheon europeo. Così come On the History of Film Style e Narration in the Fiction Film lavorano su sequenze provenienti dall’intera storia del cinema, pescando dal muto e dal sonoro, dal cinema d’autore e da quello mainstream, e appunto dalle cinematografie nazionali più diverse. E persino un libro incentrato esclusivamente sulla produzione americana, quale The Classical Hollywood Cinema, è stato e continua a essere importante anche per chi studia i film di altri paesi, perché la nozione di modo di produzione si è rivelata assai fertile e potenzialmente esportabile in altre contesti.

Se David Bordwell ha svolto una lunga e fortunatissima attività di ricercatore, divulgatore e critico, attività condotta anche attraverso un blog molto letto, è perché, oltre che uno studioso, è stato un appassionato di cinema, un uomo che amava i film, che venivano prima di qualunque costruzione teorica si possa edificare su di essi. Non che rifiutasse la teoria, anzi. Basti dire che la nozione di modo di produzione, che – come ho appena ricordato – sta al centro di The Classical Hollywood Cinema, è una categoria che discende dal pensiero di Karl Marx (a essere precisi, il concetto viene elaborato in un capitolo del libro firmato da Janet Staiger, ma è ovvio che i tre autori hanno condiviso in pieno il loro lavoro). Ciò che Bordwell rifiutava era l’uso dogmatico e feticistico della teoria.

Ho avuto la fortuna di conoscere David Bordwell attraverso un amico comune, Jim Healy, responsabile della programmazione della sala della cineteca della University of Wisconsin-Madison. L’ho incontrato in un paio di occasioni negli Stati Uniti, e una volta in Italia, quando lui e Kristin Thompson vennero al Torino Film Festival, insieme a Jim, nell’autunno del 2019, poco prima dello scoppio della pandemia. Pur essendo una delle stelle più brillanti dello star system accademico internazionale, era un uomo alla mano, pronto alla battuta, di grande curiosità intellettuale (così grande che riuscì ad appassionarsi a qualcosa di alieno per un americano come il tartufo sulla carne cruda), un uomo che amava non solo parlare di film, di tutti i film, da Godard a Godzilla, ma che stava anche ad ascoltare chi aveva di fronte, chiacchierando con estrema semplicità, entre cinéphiles.

Giaime Alonge
Università di Torino

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