Pratiche produttive del cinema italiano 1949-1976. L’eccezione e la regola

Convegno internazionale
a cura di Leonardo De Franceschi, Elio Ugenti, Christian Uva e Vito Zagarrio nell’ambito del progetto PRIN “Modi, memorie e culture della produzione cinematografica italiana (1949-1976)”
con il patrocinio della Consulta Universitaria del Cinema
 Università Roma Tre
Roma, 28-29 novembre 2022

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Redazione CUC2Written by:

Il 1949 è l’anno della Legge n. 958/49 nota come “Legge Andreotti”, tesa a incentivare le produzioni italiane e riequilibrare il rapporto tra la circolazione di pellicole americane e italiane nel nostro Paese. Il 1976 è, invece, l’anno della Sentenza della Corte Costituzionale che determina la “liberalizzazione dell’etere” e cambia per sempre la storia della televisione italiana. Due date, queste, che segnano due momenti di svolta epocali per la produzione audiovisiva in Italia (Comand, Venturini 2021) e che costituiscono i termini a quo e ad quem del XXVIII Convegno Internazionale di Studi Cinematografici “Pratiche produttive del cinema italiano 1949-1976. L’eccezione e la regola”, oltre che del Progetto Prin “Modi, memorie e culture della produzione cinematografica italiana (1949-1976)” all’interno del quale il Convegno si inscrive.

Tra queste due date, numerosi sono i processi storici e culturali che trasformano il sistema cinematografico italiano e che determinano l’instaurarsi di una “regola” – o di numerose regole – intorno alle quali vengono a configurarsi dei modelli produttivi dominanti che si susseguono nel corso di questo trentennio. Fondamentale, in tal senso, la Legge n.1213 del 1965 (“Legge Corona”), che si pone come il primo intervento di rilievo in materia di legislazione cinematografica dopo la Legge Andreotti del 1949 e successive modifiche apportate nel 1956 e nel 1959, e che rimarrà per un quarantennio la Legge di riferimento fino all’emanazione del Decreto Urbani nel 2004. 

Il quadro legislativo (Cucco, Manzoli 2017) risulta determinante per cercare di definire cosa sia l’industria cinematografica italiana del secondo dopoguerra, fondata su meccanismi e procedure del tutto differenti rispetto allo standard hollywoodiano delle Majors. L’aiuto dello Stato si è rivelato da sempre fondamentale nel contesto italiano, consentendo ad alcuni imprenditori di costruire un’industria poco strutturata e non fondata su una logica “di sistema” dalla quale hanno saputo trarre beneficio (Corsi, 2001), finendo per determinare degli standard (economici, di formato, di minutaggio, di censura) che sono divenuti via via determinanti per la circolazione dei film e per il loro accesso nelle sale.

A fianco e intorno alle produzioni pensate per una distribuzione in sala fioriscono, però, modelli produttivi alternativi che si configurano come “eccezioni” a una norma tesa a garantire quanto più possibile lo sfruttamento commerciale delle opere. Esiste, dunque, un cinema quasi invisibile (o appena visibile), non pensato per una visione in sala o tagliato fuori dai canali distributivi principali perché – programmaticamente o accidentalmente – non aderente agli standard imposti dalla regola. Un cinema “fuori norma” (Aprà, 2013) ante-litteram, lo si potrebbe definire.

Sulla base di queste premesse, questo Convegno si propone come un momento d’incontro tra studiose e studiosi che lavorano alla valorizzazione di fonti primarie e secondarie alla luce di nuove prospettive di ricerca sui modelli produttivi del cinema italiano nel periodo 1949-1976, sia attraverso riflessioni metodologiche sia proponendo singoli studi di caso. In questa prospettiva, si intende comprendere il rapporto tra il funzionamento del sistema produttivo italiano dominante e le più ampie ed eterogenee culture della produzione e della distribuzione (Caldwell 2008; Szczepanik, Vonderau, 2013; Barra, Bonini, Splendore 2016) al fine di individuare quali siano gli elementi qualificanti per stabilire se un film italiano si ponga dentro o fuori dal recinto di una “norma” o di uno “standard”. Più nello specifico, ci si chiede quali siano i fattori determinanti (di ordine legislativo, geografico, culturale o strettamente tecnico-produttivo) che consentono di inquadrare l’esistenza di un’eccezione alla suddetta norma. 

È certamente da prendere in considerazione il cinema specificatamente sperimentale, ma non soltanto quello. Al di fuori della regola si pongono, infatti, tutte quelle produzioni legate al cinema d’impresa, al cinema educativo e scientifico, religioso; ma anche opere troppo brevi o troppo lunghe per trovare posto nella programmazione delle sale, così come i film in formato ridotto – girati in pellicola 16 mm, 8 mm, super 8 – o in formato elettronico, ma anche i film colpiti dalla censura di Stato o di mercato. Rientrano poi nel terreno dell’eccezione, se non le coproduzioni come tali, quantomeno alcune tipologie di coproduzione, tenendo conto dei dati di mercato.  Quello delle coproduzioni rappresenta, infatti, un terreno d’attenzione particolarmente interessante, se si considera che – stando ai dati ANICA – dei 5866 film italiani immessi sul mercato tra il 1949 e il 1976, ben 2397 sono film di coproduzione, senza distinguere tra produzioni maggioritarie o minoritarie. Queste cifre salgono ulteriormente se includiamo in questo gruppo anche quelle che potremmo definire runaway productions all’italiana, girate in tutto o in parte in paesi terzi, spesso esotici e quasi sempre non coinvolti ufficialmente sul piano produttivo. Da considerare, infine, le opere d’animazione che in Italia, molto spesso, non mirano a una distribuzione in sala, finendo per collocarsi tra lo sperimentalismo puro e la veicolazione tramite canali “alternativi” (primo tra tutti, la televisione) (Bellano 2014; Bendazzi, De Berti 2003; Di Marino 2001).

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