Apocalissi italiane. Il cinema e la televisione di fronte ai disastri del Novecento

Immagine. Note di Storia del Cinema
n. 21/2020 – a cura di Alessandro Faccioli e Stefania Parigi

RIVISTE

Redazione CUC2Written by:

Non è difficile dimostrare come, dall’inizio del Novecento sino ad oggi, ogni cinematografia e produzione televisiva nazionale abbia preso in carico, restituendolo documentato e trasfigurato, un numero significativo di eventi traumatici. Sconvolgimenti naturali o sociali di grande rilevanza, dalle guerre ai terremoti, dalle alluvioni alle rivoluzioni, hanno trovato nei media audiovisivi una decisiva via d’accesso alla riflessione e all’elaborazione collettiva. Come la nozione di traumatic past ha messo in rilievo (Mark S. Micale-Paul Lerner; Jane Goodall-Christopher Lee; Milija Gluhovic), la scrittura audiovisiva di eventi sconvolgenti, talora apocalittici (Allen Meek; Aris Mousoutzanis, Maria Manuel Lisboa), ha offerto e trasmesso un’immagine condivisa non solo del dolore generatosi nell’immediatezza e destinato a colpire il singolo nel corpo e nella psiche, ma anche di esperienze più sfumate e collettive di rivisitazione memoriale: situazioni nelle quali i confini sfrangiati di territori, di paesaggi e di comunità segnati dalla sofferenza hanno avuto un ruolo centrale, offrendo spazio, in un gioco di precari contrappesi, al bisogno del recupero di un impossibile status quo ante, e contemporaneamente a quello speculare di un violento cambiamento (Patrizia Violi). Una funzione rilevante ha assunto la modernizzazione, che si è talvolta offerta come mentalmente ingestibile, o come vettore di una violenza nutrita da complesse metafore apocalittiche (Ernesto De Martino; Marcin Mazurek). In questo contesto, il cinema di finzione e il cinema documentario hanno rincorso sempre – a volte secondo pratiche instant, a volte maturando piena coscienza del vissuto e magari del rimosso (Stephen Keane; Roy Menarini; Rudy Salvagnini; Enzo Ungari) – gli stati fluidi di questi cambiamenti. La scrittura del disastro (Maurice Blanchot; Francesco Muzzioli) che grazie a televisione, cinema, fotografia, videogiochi e web ne è prepotentemente seguita (Vincenzo Idone Cassone-Bruno Surace-Mattia Thibault), si è incaricata di investigare le fratture dello sguardo nutrite dalla disgregazione fisica e morale che scaturiscono dal confronto tra Grande Storia e storie personali.

Nel caso della produzione italiana, l’elaborazione è avvenuta seguendo processualità ibride, non sempre lineari, che hanno chiamato in causa lo stato fluido di cambiamenti che hanno investito nel tempo il territorio, il paesaggio e la società. Si tratta di eventi che vanno dal trauma della guerra alla convivenza con le macerie, alla distruzione (Matteo Giancotti), alle devastazioni fisico-climatiche subite da paesaggi millenari (Anil Narine), a migrazioni forzate (per esempio quelle riguardanti gli ebrei, gli istriani-dalmati, gli italiani nelle colonie d’Africa, ma anche gli abitanti di città e borghi terremotati, costretti per decenni a vivere spaesati, in situazioni a volte allo stesso tempo precarie e definitive), ai tanti disastri evitabili (uno per tutti: il Vajont).

Il principale obbiettivo del dossier è dunque proporre un’analisi ad ampio spettro – riconducibile al territorio italiano e alla popolazione che su di esso abita, ha abitato o sul quale è transitata – dell’immaginario visuale che questi fenomeni hanno favorito e ispirato.

 

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