Evento

Fata Morgana. Quadrimestrale di cinema e visioni
n. 38/2020

RIVISTE

Redazione CUC2Written by:

È in libreria il numero 38 di Fata Morgana, dedicato al tema “Evento”. Quella di evento è la categoria filosofica centrale del pensiero novecentesco. Dal concetto di evento-trauma della psicanalisi freudiana all’Ereignis di Heidegger, l’“evento-appropriazione” pensato come momento di coappartenenza tra uomo ed essere, fino all’idea di événement in Badiou e passando per le riflessioni di Deleuze e Derrida, la categoria di evento è stata l’oggetto privilegiato dell’interrogazione filosofica contemporanea, soprattutto di ambito fenomenologico. Ma che cos’è un evento? Cosa vuol dire dare forma e rappresentare un evento? L’evento è in primo luogo il punto di rottura di una situazione, imprevedibile e singolare, capace di generare un nuovo stato di cose. È l’accadere veritativo del reale, attraverso cui il soggetto può strutturarsi secondo una nuova legge di presentazione (Badiou). Ma l’evento può anche essere qualcosa di incorporeo che non appartiene all’occorrenza evenemenziale del reale. È quel puro espresso che è in ciò che accade e che ne costituisce idealmente il suo senso, come scrive Deleuze in Logica del senso. In altre parole, l’evento è quel momento di mediazione tra il corporeo e l’incorporeo, la materia e l’idea, l’immanenza e la trascendenza, che permette l’esistenza di ciò che noi chiamiamo vita e realtà. Se l’evento ha sostituito l’essere come parola chiave della filosofia è proprio in nome di questa sua potenza genitiva, inarrivabile e originaria.

Il cinema e il teatro sono da sempre le arti privilegiate nella rappresentazione dell’evento perché l’evento è in sé pura temporalità. L’evento disarticola la continuità temporale, la interrompe e la ripensa. Rappresentare l’evento significa dare corpo a quel punto di rottura da cui è generata l’azione drammatica. Tutti i grandi personaggi della tradizione drammaturgica occidentale danno corpo a figure evenemenziali nella maniera in cui incarnano soggettività che si strutturano a partire da un punto di rottura radicale. Uno scarto tra l’essere e il non essere, la vita e la morte. È quello che accade a Edipo e Amleto, Antigone e Don Giovanni.

Ma come può il cinema – linguaggio che si fonda sin dall’epoca classica sull’idea di continuità narrativa – dare corpo alla discontinuità dell’evento? È il problema che i grandi cineasti si sono posti da sempre, cercando per esempio di costruire figure della discontinuità attraverso i grandi dispositivi del montaggio (Ejzenštejn), dell’inquadratura (da Welles a Hitchcock, Dreyer), della scenografia (da Lang a Buñuel). I percorsi di ricerca sono dunque numerosi e riconducibili a diverse linee direttrici.

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