Risale al 1902 un saggio di Georg Simmel, La cornice del quadro. Un saggio estetico, che riconosce alla cornice la dignità di problema filosofico e la interroga a partire da temi prettamente estetici: la questione del limite, per esempio, e la separazione che l’esistenza della cornice segna fra l’opera e il mondo che la circonda, in quanto garanzia di artisticità della prima. In virtù della separazione di cui è garanzia, la cornice si fa portatrice di una essenziale capacità sintetica, che consiste nella connessione interna degli elementi che compongono l’opera. Così intesa, la cornice è il gesto di cesura che consente di opporre la concretezza del mondo reale all’irrealtà dell’immagine artistica. Allo stesso modo, però, la cornice è il luogo in cui si mostra la contiguità fra l’oggetto artistico e l’ambiente in cui esso è collocato: ragione questa per cui alla cornice è stata riconosciuta, in più di una occasione, una natura ibrida e anfibia.
Giano Bifronte, proprio come il cinema, la cornice permette di individuare una lunga serie di questioni che è scopo di questo numero sondare. Una ipotesi, tra le altre, che il numero intende affrontare è infatti che, proprio in coincidenza della perdita della sua centralità in pittura, la cornice divenga una questione centrale per l’allora nascente arte cinematografica, riproponendosi in termini nuovi e intrecciandosi a problemi relativi alla costruzione dell’inquadratura e della composizione filmica.
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