La guerra delle immagini nel XXI secolo: cinema, televisione, web

Cinema e Storia. Rivista di studi interdisciplinari
n. 1/2020 – a cura di Giovanni Gozzini e Pietro Masciullo
Scadenza: 10 aprile 2019

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Redazione CUCWritten by:

A quasi vent’anni dall’attentato terroristico dell’11 settembre 2001, la circolazione delle immagini di guerra ha assunto delle caratteristiche inevitabilmente intermediali. La sempre maggiore diffusione della tecnologia digitale ha infatti dato vita a una proliferazione di schermi, dispositivi, immagini che riflettono, nel quotidiano, paure, terrori e aspettative di un mondo globalizzato. A questo proposito, il numero monografico 1/2020 di «Cinema e Storia» si concentrerà sulla proliferazione delle immagini di guerra e sulle riletture del passato bellico nella cultura visiva del XXI secolo, dando particolare attenzione alle forme attraverso cui si costruiscono e si diffondono gli immaginari di guerra in era digitale.

Gli interventi potranno concentrarsi su casi di studio relativi a singoli film o autori, oppure allargare lo sguardo alle dinamiche di costruzione e circolazione dell’immaginario post-11 settembre in determinati contesti, utilizzando specifici corpus di analisi. Le proposte potranno riguardare uno o più dei seguenti ambiti (pur non dovendosi necessariamente limitare ad essi):

  • La rilettura del passato bellico nel war movie hollywoodiano: dal dittico Flags of Our Fathers/Letters from Iwo Jima (Eastwood, 2006) a Bastardi senza gloria (Tarantino, 2009), da Fury (Ayer, 2014) a Dunkirk (Nolan, 2017), la Seconda Guerra Mondiale al cinema produce una tendenziale mutazione nella percezione spaziale e temporale degli eventi.
  • La relazione tra attendibilità del testo ed esigenza della trasposizione filmica: i modi in cui le guerre del passato vengono configurate e raccontate nel XXI secolo.
  • Le costanti rinegoziazioni di questioni fondamentali strettamente legate all’identità americana – l’eccezionalismo, il mito della frontiera, il controllo ossessivo dei confini e l’immigrazione – sono conseguenza dei nuovi fronti della Guerra al Terrore (Afghanistan, Iraq, Libia, Siria)?
  • La percezione di un mutamento di natura dei conflitti armati in età contemporanea provocato dal collasso degli stati nazionali, dalla proliferazione di bande armate, dalla riduzione in ostaggio delle popolazioni civili successiva alla guerra nei Balcani ha generato un prolungamento endemico dello stato di guerra e una produzione costante di profughi: quali sono gli esiti di queste pratiche nella costruzione di un immaginario cinematografico/audiovisivo delle guerre nel nuovo millennio?
  • Iconologia critica e cultura visuale. La mediatizzazione della guerra pone innanzitutto il problema di una forte carenza referenziale (quindi dell’attendibilità) delle nuove immagini digitali. Nei war movie post 11 settembre – Jarhead (Mendes, 2005), Redacted (De Palma, 2007), Nella valle di Elah (Haggis, 2007), The Hurt Locker (Bigelow, 2008), Green Zone (Greengrass, 2010), Zero Dark Thirty (Bigelow, 2012) – l’approvvigionamento, l’interpretazione e l’utilizzo delle immagini configurano inediti campi di percezione?
  • Il valore testimoniale dell’immagine della guerra nella proliferazione di schermi e display. Quindi una tendenziale anestesia dell’esperienza spettatoriale davanti allo “spettacolo del dolore” (dal caso Abu Ghraib in poi).
  • I documentari dal fronte – da The War Tapes (Scranton, 2006) a Restrepo (Hetherington e Junger, 2010) – si contaminano con i linguaggi spuri come il media-collage.
  • Il ruolo degli embedded reporter, delle televisioni e dei nuovi processi di condivisione e socializzazione delle memorie della guerra nell’attuale mediascape. La testimonianza “in diretta” che tipo di documentazione ci fornisce sugli eventi? E che tipo di documento storico lascerà ai posteri?
  • L’enunciazione filmica e i nuovi regimi di visione: in film come Good Kill (Niccol, 2014), Il diritto di uccidere (Hood, 2015), 13 Hours – The Secret Soldiers of Benghazi (Bay, 2016) o in serie televisive come la terza stagione di Black Mirror (2016), i piccoli dispositivi di visione e i droni radiocomandati contaminano il découpage classico proponendoci un traumatico “punto di vista delle armi” basato sulla logica della gamification (come suggerisce l’installazione video Serious Game, 2010, di Harun Faroki). Una logica che dai videogiochi first-person shooter (esempio: le varie versioni di Medal of Honor) si configura persino nei traumi post-bellici come nelle serie televisive Homeland (2011) e Homecoming (2018).
  • La bassa definizione come “rimosso” dell’immagine ufficiale della guerra: la riemersione di un Reale traumatico nei filmati di minaccia del terrorismo internazionale e la loro diffusione online.
  • La ri-articolazione delle tracce archiviali visive e sonore nel XXI secolo (esempio: il caso They Shall Not Grow Old di Peter Jackson, 2018, tra ricerca filologica delle fonti e riscrittura finzionale degli eventi).

Le proposte di saggi (200 parole circa), corredate da un breve profilo biografico, dovranno essere inviate all’indirizzo redazione@cinemaestoria.it entro e non oltre il 10 aprile 2019.

I saggi che saranno accettati, sottoposti al meccanismo di double blind peer review, dovranno essere consegnati entro e non oltre il 31 luglio 2019.

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