Postproduction: natura, logica e prassi del riuso delle immagini

Cinergie. Il cinema e le altre arti
n. 11/2017 – a cura di Luca Malavasi

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Redazione CUCWritten by:

Un po’ come accade, prima o poi, a tutti i termini composti dal prefisso “post” – o, più in generale, a tutte le parole che incorporano un elemento apertamente temporale –, anche quello di postproduzione non è più, oggi, quello che era un tempo, per l’appunto, e non soltanto nel territorio del visivo e dell’audiovisivo. Il senso del suo “venir dopo”, infatti, è cambiato piuttosto radicalmente in questi ultimi anni (diciamo, per convenzione, gli ultimi quindici), e non certo per il solo fatto che sono mutate via via, e da molti punti di vista, le pratiche e i processi ai quali esso rinvia; semmai, questi ultimi sono parte in causa di una trasformazione più ampia, di ordine culturale, segnata non semplicemente da un progressivo spostamento del momento “creativo” verso la postproduzione, ma, in termini più generali, dalla centralità assunta, nel quadro dell’ipercapitalismo digitale contemporaneo (Lipovetsky), dalle pratiche “terziarie” su quelle propriamente produttive. Questa “perturbazione temporale”, insomma, non rimette in discussione soltanto l’idea che la postproduzione rappresenti – come tradizione vuole – una fase “successiva”, un supplemento rispetto a ciò che la precede, e cioè alla produzione vera e propria (così, proprio per questo, Hito Steyler preferisce utilizzare il termine di riproduzione1); essa, piuttosto, va pensata, oltre che come l’esito di un rinnovamento operazionale e, nella fattispecie, di un potenziamento delle possibilità rielaborative della “materia prima”, come la reazione implicita a qualcosa di simile a un “regime dell’abbondanza” visiva: per chi si trova a vivere nello “sciame digitale” contemporaneo (Byung-Chul Han), fare cose con le immagini, e alle immagini e per mezzo delle immagini, rappresenta un’opzione e un’operazione insieme naturale e inevitabile, come già aveva visto negli anni Ottanta Vilém Flusser, immaginando una società futura di artisti e giocatori, homines ludentes, in dialogo tra loro grazie alle immagini, “situazioni impreviste e imprevedibili”, per mezzo delle quali comunicare e costruire significati.

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